ALTRE SALITE VCO  di Paolo Crosa Lenz 22/07/2008 alle 10:29
MITICO PAOLO CROSA LENZ CI FORNISCE SEMPRE FOTO DELLE SUE SALITE CON RELATIVO COMMENTO CHE PUBBLICHIAMO

Mottarone, 5 luglio – Il Mottarone non è più quello dell’Ottocento, quando nobili e ricchi di tutta Europa lo salivano a piedi per godere del “più bel belvedere delle Alpi”. Oggi questa montagna solitaria appoggiata tra lago Maggiore e d’Orta, come “una solida polenta montanara” è raggiunta da due strade e da una funivia. Di più: se volete capire cos’è la globalizzazione andate sulla vetta (proprio sulla vetta!) a sentire il ronzio di decine di parabole e ripetitori. Eppure, qualcosa non è cambiato: il piacere di guardare il mondo dall’alto che è rimasto quello di sempre. I ciclisti, tuttavia, hanno poco tempo per guardarsi in giro perché la salita è veramente di quelle toste: sugli ultimi durissimi 500 m ho contato le formiche e parlato con gli angeli (mi ridevano dietro!).


Cheggio, 9 luglio – Un’altra grande e bella salita. Da Villadossola lungo la Valle Antrona, con i villaggi armoniosi immersi nel verde, poi 7 km di arrampicata a Cheggio: timbro nel bel ristorante a pochi passi da una diga possente (è una delle prime realizzate in Ossola). Incontro alcuni ciclisti, parliamo di AVIS e di bicicletta. Uno è un ricercatore scientifico di Milano, impegnato a pedalare tutte le 150 salite delle Alpi (l’elenco lo ha trovato su un sito internet). Da Cheggio a Villadossola c’è poco da pedalare: parliamo e spariamo cazzate. Mi spiega il “dubbio del ciclista”. Quando torna a casa cotto dopo una lunga sfacchinata, fatta barba e doccia, si trova con il dito alzato e il dubbio se mettere prima il dopobarba o la crema contro gli arrossamenti. Guai sbagliare. Aggiungo: “E ancora che non ti chiami la moglie: sbrigati a lavarti i denti, che dobbiamo andare!” .


Lago di Antrona, 9 luglio – La salita al Lago di Antrona (strada di sinistra) è facile e bella: un nastro di asfalto che sale dolce tra un caotico ammasso di macigni appena ricoperti da terra ed erba, fra cui si alzano betulle e larici. Stiamo pedalando sulla gigantesca frana che nel 1642 si è staccata dal Monte Pozzuoli e ha coperto il villaggio di Antrona causando molti morti. Il villaggio è stato ricostruito più a valle (ai piedi della frana), mentre nella depressione a monte si è formato un lago che nel Novecento è stato innalzato per produrre energia idroelettrica. Pedalando senza fatica si vedono due cose: le dimensioni gigantesche dei massi (in alto il Pozzuoli mostra ancora la sua ferita e il punto di distacco) e come madre natura in quattrocento anni abbia lentamente colonizzato questo ammasso di nuda roccia frantumata.


Santa Maria Maggiore, 13 luglio – Pioviggina e fa freddo ai piedi della salita della Val Vigezzo. Ci vuole un atto di fiducia per partire dopo le piogge monsoniche della notte precedente. Le acque del Melezzo sono marroni di terra, non verdi come quelle dell’Anza che contengono il limo sabbioso proveniente dai ghiacciai. A Druogno tira un vento gelido, poca gente in giro in abbigliamento autunnale e nessun ciclista. Al timbro al Miramonti, buoni profumi di cibo raffinato provengono dalla cucina. Eppure, sotto la cappa grigia di un cielo di piombo, la valle ha un fascino tutto suo. Mi appresto a godere una discesa che permette velocità elevate.


Gurro, 15 luglio – Salendo la Val Cannobina (verde, incassata, la “val tupa” del dialetto locale) non penseresti mai che vi possano essere paesoni nascosti tra i boschi di castagni. Eppure ci sono: aggrappati a versanti ripidissimi e soprattutto ancora vivi. Qui, il frontalierato in Svizzera ha salvato la valle da uno spopolamento disperato. Ha anche permesso alle genti cannobine di continuare a vivere sulle “loro” montagne. Come? Gurro ha 300 abitanti, la posta è aperta un giorno sì e uno no; due volte la settimana apre un “dispensario farmaceutico”, ci sono le scuole elementari fino alla quinta (pluriclasse?), tutti lavorano a Cannobio o in Ticino e ogni giorno percorrono 16 km di strada tutta curve per scendere al lago. C’è benessere e una montagna che resiste. Fino a quando?


Cascata del Toce (Val Formazza), 21 luglio – E’ finita anche quest’anno. Su quel tesserino, solo due mesi fa desolatamente vuoto, ho messo il ventiquattresimo timbro. Simbolicamente, l’ultimo timbro l’ho stampato nella piana di Riale, là dove nasce il Toce, anima e cuore del sistema di valli dell’Ossola. Il ristoro Berulussa (il nome in lingua walser significa “il prato più bello dell’orso” ed è anche il titolo di un libro sulla toponomastica formazzina dell’indimentica Angela Bacher) è una delle piccole e moderne strutture ricettive per il turismo che sono nate in questi anni. Anche Formazza racconta di come stanno cambiando le Alpi. Dopo aver vissuto per quasi un secolo grazie ai posti di lavoro offerti dall’idroelettrico, la valle sta ridefinendo una propria identità puntando sul turismo ambientale, su servizi coerenti con la tradizione e l’ambiente, sullo sci di fondo e lo scialpinismo, sul grande escursionismo. Onore ai formazzini, che da Walser sanno adattarsi alle nuove funzioni della montagna di oggi in Europa.


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